domenica 26 gennaio 2014

GIORNATA DELLA MEMORIA

 

27 gennaio 

   PER NON DIMENTICARE .....

 
 
 
 
Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa apriva i cancelli

di Auschwitz-Birkenau, il campo di sterminio che  incarna

e simboleggia l’orrore della Shoah.

La  scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei

sopravvissuti rivelarono per la prima volta al mondo

l’orrore dell’olocausto nazista.

 

Il termine Olocausto si riferisce all’uccisione

compiuta dalla Germania nazista di tutte quelle

persone ritenute “indesiderate” : omosessuali, ebrei,

oppositori politici, zingari, testimoni di geova, ecc.  

Si stima che sei milioni di ebrei siano stati sterminati.

 

Shoah significa “desolazione, catastrofe, disastro”.

Questo termine venne adottato per la prima volta nel 1938,

dalla comunità ebraica in Palestina.

Da allora definisce nella sua interezza

la strage della popolazione ebraica in Europa.
 
 

 

 


Nel giorno della memoria, shoah

Nel giorno della memoria
ricordiamoci di guerre assurde
senza senso, di forni accesi
pronti a uccidere anime innocenti.

Nel giorno della memoria
ricordiamoci di urla non ascoltate
di quell'indifferenza al dolore
di chi è morto ingiustamente.

Nel giorno della memoria
ricordiamo di quanto l'uomo
sia una vera bestia
di quella morale persa a combattere.

Nel giorno della memoria
ricordiamoci dell'atrocità
di ogni assurdo gesto compiuto
di quelle vite che non ci sono più.

Nel giorno della memoria
ricordiamoci dei fatti
di quei "orrori " compiuti
di chi non c'è più.

Di vite colpite senza "colpe".
             Silvana Stremiz
 
 
 
 
 
Mio padre era tra i prigionieri di guerra che nell’autunno del 1943 furono internati nel campo di Ziegenhain , Stalag IX / A, situato a 55 km.  a sud ovest di Kassel in Assia.
(Succursale di Buchenwald: Campo di concentramento. )
Diceva sempre: “ Sono stato fortunato, anche se il lavoro era durissimo, si partiva alle 6 del mattino e dopo due, anche tre ore di marcia si arrivava sul posto di lavoro, fino alla sera alle 18 e dopo altre ore di marcia eravamo di nuovo nelle baracche. Sono stato fortunato perché ho lavorato in posti dove ho trovato persone che di nascosto mi davano qualcosa in più da mangiare, e a volte qualche indumento che mi facevano indossare sempre di nascosto e in inverno faceva comodo avere qualche maglia in più.
Il tragitto di andata e ritorno era faticoso ma non mi sono più lamentato quando una sera, arrivati nelle baracche con 4 ore di ritardo, abbiamo visto uscire il comandante del campo con 5 prigionieri prelevati dalla nostra baracca che non abbiamo più rivisto. In seguito ho saputo che erano stati uccisi perché ritenuti colpevoli di aver ammazzato e mangiato il cane del comandante. Se fossimo arrivati prima avrei potuto essere tra i “ prescelti a caso “ com’era stato per loro.”

 
 
 
 
 

Eccolo, il lager di Ziegenhain.
 
 
La vita del KG (Kriegsgefangene, prigioniero di guerra) era dura, pur non trattandosi di uno dei campi di sterminio di Hitler, vere fabbriche della morte. Ziegenhain era nato nel 1939 per rinchiudere i soldati polacchi e francesi. Nel'41 i KG francesi erano 32.000 su 35.000.
 
La mappa dello Stalag IX A
 
 
La zona riservata ai tedeschi è attigua al campo principale, occupato soprattutto da francesi, che dopo la resa della Francia sono definiti internati con "diritto" a un contratto di lavoro. L'estendersi del conflitto fa arrivare KG di altre nazioni: dal 1941, dopo l'invasione dell'U.R.S.S., un settore separato da reticolati è riservato ai russi, dove nel settembre '43 sono deportati gli italiani.
 
Lavori forzati
 Nel 1944 i prigionieri dello Stalag IX A erano 50.000. Gran parte lavorava in uno dei 2000 kommando del distretto militare IX: in fabbriche di armi e munizioni, a rimuovere macerie dei bombardamenti, ai lavori agricoli.
Il lager era più duro per gli sfortunati segregati nella zona separata, adibiti ai lavori forzati più pesanti.
I russi che vi erano stati deportati costituirono solo un terzo dei reclusi del campo, ma i due terzi delle vittime; nella stessa zona erano gli italiani.
 
Ai 600.000 militärinterierten italiani si negò il trattamento previsto dalla Convenzione di Ginevra. Hitler li usò nell'industria bellica e nelle miniere, dove la mortalità era elevata. Schiavi cedibili alle case farmaceutiche a 170 marchi cadauno, affittabili alle fabbriche a 6 marchi al giorno...
 
Nel luglio '44 l’accordo Hitler-Mussolini li trasformò in "lavoratori civili": altra beffa, imposta o presentata come mera formalità ai soldati, adibiti ai lavori forzati come prima.
Intanto i fascisti si aggiravano nei lager chiedendo adesioni alla R.S.I., offrendo un miglior trattamento.
 Nonostante le condizioni disumane dei lager, il 90% dei soldati e il 70% degli ufficiali rifiutarono le proposte fasciste. 40.000 di loro pagarono tale scelta con la sofferenza, la fame e la morte. Il tasso di mortalità degli italiani fu di gran lunga il più elevato tra tutti i prigionieri di guerra occidentali in mano ai nazisti. 
Ai militari vanno aggiunti i circa 40.000 italiani deportati nei KZL, i campi di sterminio: 7-10.000 ebrei, oltre 30.000 antifascisti e partigiani. 
Di costoro, ben 36.000 morirono di stenti, sevizie, camere a gas.
In tutto, ben 78.216 italiani, secondo i registri dei decessi compilati dai tedeschi in ogni lager.  
 Primavera 1945
 La guerra in Europa è al termine.  Mussolini è catturato dai partigiani italiani e fucilato. Hitler si suicida a Berlino. Gli Alleati, avanzando in territorio tedesco, raggiungono i lager; gli americani arrivano allo Stalag IX A di Ziegenhain il 30 marzo.
L'incubo è finito: milioni di uomini e nazioni intere vengono liberati dal dominio nazista.
Sulle macerie dei bombardamenti si ricomincia a pensare al futuro. 
 

 

Quattro settimane prima della resa del Reich tedesco , 8 Maggio 1945,  a Kassel si pone  fine alla guerra e il nazionalsocialismo: soldati americani marciano sul Wilhelm Allee nella città in rovina.  ( Archivio Foto: HNA )
 

 
 
 
Se questo è un uomo

 
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
 
Primo Levi
 
 
 
Coro dei superstiti
 
Noi superstiti
dalle nostre ossa la morte
ha già intagliato i suoi flauti,
sui nostri tendini
ha già passato il suo archetto.
I nostri corpi ancora si lamentano
col loro canto mozzato.
Noi superstiti
davanti a noi, nell'aria azzurra,
pendono ancora i lacci
attorti per i nostri colli,
le clessidre si riempiono
 ancora con il nostro sangue.
Noi superstiti,
ancora divorati dai vermi dell'angoscia
la nostra stella è sepolta nella polvere.
Noi superstiti
vi preghiamo:
mostrateci lentamente il vostro sole.
Guidateci piano di stella in stella.
Fateci di nuovo imparare la vita.
Altrimenti il canto di un uccello,
il secchio che si colma alla fontana
potrebbero far prorompere il dolore
a stento sigillato
e farci schiumar via .
Vi preghiamo:
non mostrateci ancora
un cane che morde
  potrebbe darsi, potrebbe darsi
che ci disfiamo in polvere
davanti ai vostri occhi.
Ma cosa tiene unita la nostra trama?
Noi, ormai senza respiro,
la nostra anima è volata
a lui dalla mezzanotte
molto prima che
il nostro corpo si salvasse
nell'arca dell'istante .
Noi superstiti,
stringiamo la vostra mano,
riconosciamo i vostri occhi
ma solo l'addio ci tiene ancora uniti,
l'addio nella polvere
ci tiene uniti a voi .
 
 (Nelly Sachs - Opere scelte –
Shemeul Josef Agnon )
 
 
 
 
Paura
 
Oggi il ghetto prova una paura diversa,
Stretta nella sua morsa, la Morte
brandisce una falce di ghiaccio.
Un male malvagio sparge
il terrore nella sua scia,
Le vittime della sua ombra
piangono e si contorcono.
Oggi il battito di un cuore
di padre narra del suo terrore
E le madri nascondono
la testa tra le mani.
Adesso qui i bimbi
rantolano e muoiono di tifo
Il loro sudario sconta un’amara tassa.
Il mio cuore batte ancora nel mio petto
Mentre gli amici partono per altri mondi.
Forse è meglio – chi può saperlo?
Assistere a ciò oppure morire oggi?
No, no, mio Dio, voglio vivere!
Senza vedere dissolversi i nostri numeri.
Vogliamo avere un mondo migliore,
Vogliamo lavorare – non dobbiamo morire!
 
Eva Pichová, dodici anni, Nymburk
 
 
 
 
La garanzia

Nel
Sonderkommando
 
ti
erano
garantiti
 
tre
mesi
di lavoro
 
latte
pane
lenzuola pulite
 
cioccolata
dolciumi
cognac
 
e

tre
mesi
di vita.
 
Lily Brett
 



La farfalla
 
L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
l’ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere di castagno
nel cortile.
Ma qui non ho rivisto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.
 
(Pavel Friedman, Praga 1921 – Auschwitz 1944)
 
 
 
 
 
 
FILO SPINATO

Su un acceso rosso tramonto,
sotto gl'ippocastani fioriti,
sul piazzale giallo di sabbia,
ieri i giorni sono tutti uguali,
belli come gli alberi fioriti.
E' il mondo che sorride
e io vorrei volare. Ma dove?
Un filo spinato impedisce
che qui dentro sboccino fiori.
Non posso volare.
Non voglio morire.

scritta da Peter,
bambino ebreo ucciso nel ghetto di Terezin


 
 
La notte
Mai dimenticherò quella notte,
la prima notte nel campo,
che ha fatto della mia vita una lunga notte
e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.

Mai dimenticherò i piccoli volti
dei bambini di cui avevo visto i corpi
trasformarsi in volute di fumo
sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme
che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno
che mi ha tolto per l’eternità
il desiderio di vivere.

Mai dimenticherò quegli istanti
che assassinarono il mio Dio e la mia anima,
e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò,
anche se fossi condannato
a vivere quanto Dio stesso. Mai.

Elie Wiesel,
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 

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